Sentenza di Cassazione civile: nullita’ del “preliminare del preliminare”

Cassazione Civile, sez. II, 02-04-2009, n. 8038 – Pres. ROVELLI Luigi Antonio – Est. BUCCIANTE Ettore – P.M. MARINELLI Vincenzo – B.M. c. I.C. o C.

RV607773

CONTRATTI IN GENERE – CONTRATTO PRELIMINARE (COMPROMESSO) – IN GENERE (NOZIONE, CARATTERI, DISTINZIONE) – Contratto preliminare di preliminare – Difetto di causa – Validità – Esclusione – Fattispecie.

Il contratto in virtù del quale le parti si obblighino a stipulare un successivo contratto ad effetti obbligatori (ovvero un contratto preliminare di preliminare) è nullo per difetto di causa, non essendo meritevole di tutela l’interesse di obbligarsi ad obbligarsi, in quanto produttivo di una inutile complicazione. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che – in relazione ad una proposta irrevocabile di acquisto di un immobile, con la quale il proponente si era obbligato alla stipulazione di un successivo contratto preliminare – aveva ritenuto che tale proposta fosse priva di effetti giuridici vincolanti). (Rigetta, App. Milano, 14/03/2003)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La controversia è insorta tra le parti con riferimento a una scrittura del (OMISSIS), con la quale I.C. aveva formulato una proposta irrevocabile di acquisto di un immobile – posto in vendita da B.M., per il tramite dell’agenzia immobiliare "Studio Boezio" di W.C. – per il prezzo di L. 140.000.000, di cui L. 14.000.000 da versare a titolo di caparra e il resto come meglio specificato nel successivo preliminare, che avrebbe dovuto essere stipulato entro trenta giorni: B.M. e W.C., deducendo che I.C. aveva rifiutato di adempiere, dopo che le era stata comunicata l’avvenuta accettazione della proposta, la citarono davanti al Tribunale di Pavia, con atto notificato il 13 novembre 1985, chiedendo che fosse pronunciata la risoluzione del contratto e che comunque la convenuta fosse condannata al pagamento di L. 14.000.000 a B.M. e di L. 12.500.000 per provvigioni e spese a W.C.. I. C. si costituì in giudizio contestando la fondatezza di tali domande e in particolare deducendo che la sottoscrizione da parte sua della proposta era stata effetto di dolo.

All’esito dell’istruzione della causa, con sentenza del 18 novembre 1988 il Tribunale accolse la domanda di B.M. e respinse quella di W.C..

Impugnata in via principale da I.C. e in via incidentale da W.C., la decisione fu parzialmente riformata dalla Corte d’appello di Milano, che con sentenza del 6 febbraio 1996, accolto il primo gravame e rigettato l’altro, respinse anche la domanda proposta da B.M..

Adita dai soccombenti, con sentenza del 20 luglio 1999 questa Corte ha cassato con rinvio la pronuncia di secondo grado, rilevando che "la Corte di merito non solo si è astenuta dall’esaminare l’intero contenuto della scrittura interpretandola secondo i criteri legali di ermeneutica negoziale e attribuendo ad essa la qualificazione giuridica che le competeva, ma non ha neppure addotto a sostegno del giudizio sulla sua sostanziale improduttività di effetti giuridici una motivazione sufficiente e logica, che tenesse conto anche della dichiarazione di accettazione resa dalla B. e che consentisse di identificare il procedimento logico-giuridico seguito per pervenire al convincimento circa l’inesistente assunzione di obblighi da parte della I. e la necessità di rigettare le domande proposte contro di lei".

Il giudizio di rinvio è stato definito dalla Corte d’appello di Milano con sentenza del 14 marzo 2003, con cui la causa è stata decisa in conformità con la precedente pronuncia di secondo grado, essendosi ritenuto: che le parti non avevano inteso concludere nè un contratto definitivo di vendita nè un preliminare, ma semmai un "preliminare del preliminare", come tale nullo per difetto di causa; che si era trattato in ipotesi di una "puntazione", improduttiva di effetti vincolanti; che nella pattuizione relativa alla caparra non era configurabile una clausola penale, non compatibile in una fase precontrattuale e comportante un arricchimento senza causa; che comunque tale pattuizione era stata configurata dalle parti come avente natura reale, sicchè non poteva considerarsi perfezionata in mancanza della dazione del denaro; che nulla competeva a W. C., non essendo stato l’affare concluso.

Contro tale sentenza B.M. e W.C. hanno proposto ricorso per cassazione, in base a sei motivi, poi illustrati anche con memoria. I.C. si è costituita con controricorso. I ricorrenti hanno presentato osservazioni per iscritto sulle conclusioni del Pubblico Ministero.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo dei motivi addotti a sostegno del ricorso B. M. e W.C. lamentano che il giudice di rinvio non si è uniformato a quanto era stato deciso con la pronuncia di cassazione, le cui premesse logico giuridiche implicavano che un contratto fosse stato concluso dalle parti, sicché occorreva soltanto statuire sulle sue concrete conseguenze economiche, al più estendendo l’esame alla corretta qualificazione giuridica che competeva al negozio.

La doglianza non è fondata.

Questa Corte, come risulta chiaro dal testo della sua sentenza, che si è sopra trascritto nell’esposizione dello svolgimento del processo, non ha affatto statuito che un qualche accordo fosse stato validamente raggiunto dalle parti, salva la determinazione della sua natura e dei suoi effetti, da individuare in sede di rinvio. Si è invece limitata a constatare che il giudice a quo aveva omesso di prendere in considerazione nella sua interezza l’atto in questione, di interpretarlo secondo i criteri legali di ermeneutica negoziale, di inquadrarlo sub specie iuris, di tenere conto della dichiarazione di accettazione di B.M., e nonostante tali carenze aveva concluso, senza adeguata spiegazione, nel senso della mancata assunzione di obbligazioni da parte di I.C.. Stabilire non solo quali esse potessero essere, ma anche se fossero configurabili, era pertanto questione rimessa al giudice di rinvio, al quale non era stato indicato alcun principio di diritto cui dovesse attenersi. Tale essendo il contenuto della sentenza di cassazione, è ininfluente la circostanza, su cui insistono i ricorrenti, che nel motivo di impugnazione accolto fosse stata prospettata la "violazione degli artt. 1325 e 1326 c.c.", oltre al "difetto di motivazione".

Con il secondo motivo di ricorso B.M. e W.C. deducono che ingiustificatamente il giudice di rinvio ha opinato che il Tribunale avesse omesso di qualificare il contratto come preliminare o definitivo e avesse escluso questa seconda ipotesi, riconosciuta peraltro sussistente dalla stessa I.C., la quale in primo grado si era difesa soltanto eccependo il vizio del consenso da cui sarebbe stata affetta la propria manifestazione di volontà.

Anche questa censura va disattesa.

Che in ipotesi il Tribunale avesse ritenuto effettivamente concluso un qualche negozio, e in particolare una vendita definitiva, è circostanza ininfluente, dato che il compito di pronunciare sul punto – già controverso in appello, in seguito al gravame proposto da I.C. – è stato demandato con la sentenza di cassazione, come si è rilevato a proposito del primo motivo di ricorso, al giudice di rinvio.

Con il terzo motivo di impugnazione B.M. e W. C. si dolgono dell’interpretazione, a loro dire erronea, data dal giudice di rinvio alla scrittura in questione in difformità dal suo tenore letterale.

Neppure questa censura può essere accolta.

Preclude il suo esame la mancanza di "autosufficienza" da cui è affetta: si deduce che nella sentenza impugnata è stata presa in considerazione soltanto una delle clausole del documento, ma non vengono trascritte, in maniera completa e precisa, le altre, del cui contenuto si fa sommariamente cenno, per concludere con un vago "ecc."; della stessa pattuizione prima menzionata non viene riportato il testo integrale; si parla di un modulo a stampa con aggiunta a mano dell’impegno a pagare la somma di L. 14.000.000, impegno prevalente su altre previsioni asseritamente incompatibili, delle quali non viene specificato il tenore; si afferma essere intervenuto l’accordo per la vendita definitiva del bene, mediante l’accettazione della proprietaria, di cui non sono indicati il contenuto e le modalità.

Deve pertanto restare fermo che si è trattato, come ha ritenuto il giudice di rinvio, di un "preliminare di preliminare": le parti si erano impegnate a concludere in futuro un contratto con effetti obbligatori, che le avrebbe vincolate a stipulare successivamente la vendita definitiva.

Il quarto motivo di ricorso attiene appunto al "preliminare di preliminare", del quale B.M. e W.C., in contrasto con la tesi della nullità per mancanza di causa affermata nella sentenza impugnata, sostengono la piena validità.

La questione, che la giurisprudenza di legittimità, per quanto consta, non ancora avuto occasione di affrontare, deve essere risolta in senso opposto a quello propugnato dai ricorrenti.

L’art. 2932 c.c., instaura un diretto e necessario collegamento strumentale tra il contratto preliminare e quello definitivo, destinato a realizzare effettivamente il risultato finale perseguito dalle parti. Riconoscere come possibile funzione del primo anche quella di obbligarsi … ad obbligarsi a ottenere quell’effetto, darebbe luogo a una inconcludente superfetazione, non sorretta da alcun effettivo interesse meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico, ben potendo l’impegno essere assunto immediatamente: non ha senso pratico il promettere ora di ancora promettere in seguito qualcosa, anziché prometterlo subito.

Nè sono pertinenti i contrari argomenti esposti dai ricorrenti: in parte non attengono al reciproco rapporto tra le parti del futuro contratto definitivo, ma a quelli tra ognuna di loro e l’intermediario che le ha messe in relazione, sicché non riguardano il tema in discussione; per il resto prospettano l’ipotesi di un preliminare già riferentesi al definitivo e da rinnovare poi con un altro analogo negozio "formale", il che rappresenta una fattispecie diversa da quella del "pre-preliminare", di cui si è ritenuta in sede di merito l’avvenuta realizzazione nella specie.

Correttamente, quindi, nella sentenza impugnata, esclusa la validità dell’accordo raggiunto dalle parti, ha ritenuto che esse si trovassero, in relazione al futuro contratto preliminare, nella fase delle trattative, sia pure nello stato avanzato della "puntuazione", destinata a fissare, ma senza alcun effetto vincolante, il contenuto del successivo negozio.

Con il quarto motivo di ricorso B.M. e W.C. lamentano che il giudice di rinvio non ha adeguatamente dato conto della ragione per la quale ha negato ogni efficacia alla clausola con cui I.C. si era impegnata a versare l’importo di L. 14.000.000 al momento dell’accettazione della sua proposta e a indennizzare con la stessa somma la proprietaria del bene posto in vendita, in caso di rifiuto all’acquisto: pattuizione da ritenere pienamente valida in forza del principio della libertà negoziale, anche nell’ipotesi che l’obbligazione dovesse intendersi assunta in un contesto ancora precontrattuale.

Anche questa censura va disattesa.

Sul punto la sentenza impugnata si basa su tre distinte e autonome rationes decidendi, ognuna di per sè idonea a sorreggerla: la nullità, per mancanza di causa, della predeterminazione di una penale riferita a una responsabilità aquiliana, come quella in cui si può incorrere nella fase delle trattative; l’ulteriore invalidità derivante dal superamento del limite dell’interesse negativo, con conseguente attribuzione di un arricchimento senza causa; la natura reale del patto, che non si era quindi perfezionato, in mancanza della dazione della somma in questione al momento della sottoscrizione della proposta. Il terzo di questi argomenti non ha formato oggetto di alcuna critica da parte dei ricorrenti, il che esime dal dover prendere in esame le peraltro estremamente generiche e assiomatiche contestazioni che sono state rivolte agli altri due.

Con il sesto motivo di ricorso si sostiene che I.C. avrebbe dovuto comunque essere condannata a pagare a W.C. le commissioni che si era obbligata a versargli, in quanto il suo rifiuto ad addivenire alla stipulazione del contratto preliminare o di quello definitivo di vendita era stato ingiustificato.

L’assunto resta privo di base, in seguito al rigetto dei precedenti motivi di impugnazione, che ne ha fatto venire
meno il presupposto: l’addebitabilità a I.C. della mancata conclusione dell’affare e quindi della esclusione del diritto dell’intermediario alla provvigione.

Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione vengono compensate tra le parti per giusti motivi, ravvisabili nella novità della questione trattata in relazione al quarto motivo di ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; compensa tra le parti le spese del giudizio di Cassazione.